A Sapri il déshabillé per promuovere un concetto di decoro urbano
“È una decisione importante e necessaria. La Spigolatrice è un attrattore turistico”, annuncia il Primo cittadino in quel di Sapri e ordina perentoriamente di liberare il viale da tutto ciò che impedisce a pieno la visuale a mare alla statua che ivi la immortala.
Una scelta onorata, ritenuta evidentemente migliore, più adatta e conveniente di molte altre, quella di due natiche al vento, bagnate d’ignoti vezzi, l’ingenuo velo adagiato, illuminate fonti di motivazione allo spostamento dalla notte dei tempi che a Sapri si scoprono di strategica importanza per attrarre il turista-consumatore e il suo bisogno radicato nella mente come un Tricottero durante la stagione riproduttiva: non vi è bisogno che respirino e palparle è qui solo “gesto scaramantico”. Perché negare una ragione! D’altronde non hanno finora reso il grand’affare le gesta che a suo tempo ne ispirarono l’apparizione.
Aggirando nella mia ignoranza l’approfondimento delle finezze piccanti di una giusta analisi della customer satisfaction e della filosofia di accoglienza da parte degli Amministratori a fondamento di una scelta, mi piace immaginare che anche l’aspetto fisico della città possa concorrere a favore. Una città pulita seduce per incanto: cittadini, clienti, viaggiatori amano soggiornarvi, si sentono bene a scorrere le trame e gli orditi di vie e piazze. Una città pulita aumenta la qualità della vita e induce a soffermarsi, per diletto, per dimora fosse l’ultima o per avviare un’attività. È quindi in fin dei conti pur fattore economico e turistico in ordine alla questione, meritevole d’essere oggetto di debita cura.
Eppure a Sapri tutto ciò resta solo appannaggio di un’immaginazione, di un abbaglio che a coccolarsi è una vana fantasia. Mentre l’effigie di una giovane in déshabillé vista mare si guadagna il diritto di aver sgombra la visuale dal lido che deturpa nella sola intenzione del rispetto di un concetto di decoro urbano, i residenti devono accontentarsi di abbondanti vedute su scarti e pattume abbandonati selvaggiamente per le vie e in ogni canto (qui e qui) che insieme al cattivo stato di conservazione diffuso (qui) vanno testimoniando la costumanza, fors’anche un libero atto di volontà a manifestare, di preferire il degrado e l’incuria all’ordine e alla pulizia. “Bello bruttino qui da voi!” commenterebbe l’attore tedesco Heinz Rühmann in visita parafrasando sé stesso in una pellicola datata.
Alla luce di un enunciato alla stessa immaginazione si impone allora il concetto di decoro urbano, la cui essenza qui si fa oscura e incerta, fenomeno inintelligibile, lingua straniera in obbligo di essere tradotta, esplicata forse mediante l’indagine analitica nel suo senso latente in campo semantico, orpello dadaista. È decoro la traslazione di uno storico angolo di lido, ordinato e grazioso, per il tempo di una breve stagione a corrompere inesorabilmente la memoria di un’invenzione. Non è decoro dall’altra un ingresso di città che ad ospitare è rovine di un palazzo antico, malcelato all’occhio da una pezza di telo frangivista con l’erba incolta a sviare lo sguardo dai resti solitari di una villa romana lì di fianco; un istituto buio, tetro, deserto, addossato a una Chiesa Santa Croce, obliata perla in stile gotico, venerata officiante matrimoni ieri che oggi è interdetta allo sguardo, il più sommesso, abbandonata ai destini di un’inesorabile consunzione; una muta Torre della Specola, l’Osservatorio astronomico, che nel suo immenso silenzio assordante è a struggersi di nostalgia di un tempo in cui gli astri assai lontani ebbe a contemplare… solo maglie da infilare in coda alla diffusa fatiscenza e ai cumuli di pattume abbandonato selvaggiamente già denunciati. Lascio la speranza a chi s’addentri.
Sabina Greco