Il trucco c'è: evviva la diversità, mio giovane amico!
Per fortuna che c’è chi è libero di pensiero e può scrivere cosa sente e vuole.
Poche parole, le sue, penetrano nel cuore, deflagrano. Si fissano nella mente per riflessione, come il chiodo alla parete, e come lui scavano la sostanza. La libertà di mettere a nudo, di manifestare sé stessi, l’animo, lo spirito, la stoffa di una dimensione propria fra le altre. Il piacere, il gusto, l’agio di evocare e rivelare il proprio pensiero, senza l’onere di riflettere quello, a tratti, già stantio di un’altro. La censura autoinflitta, il dolore sordo, intimo e segreto della mutilazione, in quella terra bagnata di sangue d’ogni regno oscuro e oscurantista, barbaro e violento, di terrore e sospetto.
Se non fosse che a pronunciare le parole è un giovane promettente alle prime luci di una carriera, istruito, garbato, avvezzo alle regole di una buona creanza e di vita in una comunità; figlio di una terra nostra, maturato nell’abbraccio accogliente di una ridente cittadina del Cilentano e il contesto dell’enunciato a margine di una pubblica chiosa. Se non fosse che una stessa terra affonda le sue radici in una cultura della democrazia, ossia in valori, atteggiamenti e pratiche della democrazia, del dialogo, della partecipazione, della valorizzazione, dell’ascolto, del rispetto, della tolleranza, della cooperazione - almeno così è a dichiararsi. Se non fosse che la sostanza di una tale proclamazione è a celare, pure lei, la realtà di una cupa ombra di repressione e spegnimento.
Voglia perdonarci la frode e il tradimento.
Abbiamo fabbricato un mondo subdolamente autocrate in cui l’altro convivente non si sente libero di esprimere una propria ragione, un punto di vista, idee o emozioni senza incorrere nell’azzardo, evidentemente, di scontare una pena: grazie a Dio, benedetta sorte, non è luogo né tempo di fucilazioni o deportazioni, ma è a bastare l’aggressione verbale, l’oltraggio e l’offesa, prima ancora dell’isolamento e dell’esclusione.
È questo l’alloggio a cui facciamo riferimento quando gloriamo lo spazio da dare ai giovani? Quale spazio?
Quell’uno in cui percorrere le nostre stesse vie, scimmiottare le nostre ragioni, replicare i nostri deliri, celebrare la nostra esistenza e così defraudarli della loro senza pudore? O quell’altro già minato in cui barattare accoglienza e accettazione con la mutilazione creativa compiuta su ampie dimensioni di anima e spirito propri, come un artista azionista del Novecento che fa del suo corpo il materiale essenziale su cui iscrivere la crudeltà e repressione, la mortificazione e il dolore infusi dal soffocamento di ogni pretesa totalitaria. O forse, solo ancora, il campo deserto in cui seppellire le nostre stesse aspirazioni.
Non saranno tavole, per quanto sacre, o dichiarazioni, le più altisonanti, universali mai assolute, a garantire ciò di cui il cuore è a difettare, come ci insegna nel contesto quella amata dei Diritti Umani, già sancita nel ‘48, e qui resa testualmente per il solo vezzo della rimembranza…
ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione [...].
La realtà ci è a mostrare il triste inganno. Non è nuova la maniera di nascondere le proprie soverchierie tentando di riciclarsi come democratici, di camuffarsi da avanzati e progressisti. Lo fanno anche gli animali, un metodo geneticamente determinato dalla specie in modo del tutto naturale che ha lo scopo di permettere loro di vivere il più a lungo possibile: e così essi assumono esternamente i colori dell’ambiente che li circonda, per rendersi invisibili e del tutto integrati. E funziona…
a patto che l’ambiente, però, resti per loro stabile e prevedibile.
Evviva l’inatteso, evviva la diversità, mio giovane amico!